È dimostrato come una pillola chimicamente inerte, ossia nella quale non vi sia alcun principio attivo farmacologico, possa provocare un mutamento o un miglioramento dei sintomi di una malattia. In senso positivo questo effetto è definito “placebo”, se invece si nota un peggioramento si parla di “nocebo”. Questo può avvenire per sintomi di diversa natura ed entità, come ad esempio il dolore, la cui esperienza scaturisce da fattori sia fisiologici che psicologici, incluse le credenze e le aspettative di ciascuno.
Così i trattamenti placebo che pure non hanno alcun effetto farmacologico intrinseco sono in grado di produrre un effetto analgesico oltre le aspettative. Esiste una controversia riguardo il modo in cui il placebo altera la trasmissione sensoriale del dolore. In due esperimenti condotti con la Risonanza Magnetica Funzionale (FMRi) i ricercatori del Dipartimento di Psicologia della Columbia University di New York, guidati da Tor D. Wager (
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L'effetto placebo è utilizzato negli studi clinici su nuove molecole l’efficacia di un farmaco. Il sistema è chiamato ‘doppio cieco’ e prevede che né il paziente né il medico sappiano se stanno ricevendo e somministrando la sostanza attiva o quella inerte, ciò per non correre il rischio di influenzare il decorso dello studio. I detrattori del placebo parlano di una forma di ‘autosuggestione’ talmente potente da poter modificare uno stato di malattia e accelerare la guarigione. Una delle spiegazioni possibili è la riduzione dell'ansia.
Se una persona si aspetta che il suo dolore fisico o psicologico diminuisca, dopo che una persona qualificata applica un intervento, si sentirà rassicurato e meno ansioso. Questo elemento gioca un ruolo fondamentale nella percezione del dolore e infatti i soggetti più ansiosi hanno una minore tolleranza al dolore di quelli non ansiosi. D'altra parte per secoli il mondo è stato curato con tecniche empiriche, dalla pillola di zucchero a quella di pane, che nulla potevano sulle patologie più gravi.
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